L'ALCOM-AGL (Federazione dei lavoratori delle Comunicazioni) si schiera
contro chi , nel governo e nel parlamento, sta tentando di introdurre la
follia della Web-Tax. Si tratterebbe di un provvedimento gravissimo che
inciderebbe in maniera letale sulle libertà e sulle possibilità di
sviluppo del nostro Paese.
Riportiamo di seguito, per una completa illustrazione della complessa questione, un post tratto da http://www.byoblu.com a firma di Claudio Messora.
"""""""""Chiunque abbia fatto una guerra (e sia sopravvissuto), vi dirà che i
conflitti sono i più grandi ascensori sociali. Chi era su finisce giù, e
viceversa. Così è internet. Immaginate il mondo là fuori come una
grande ragnatela di interessi e di equilibri: appena qualcosa si muove
grossi aracnidi monopolisti, specializzati nel presidio di migliaia di
filamenti, con i loro tentacoli chitinosi capaci di percepire
impercettibili vibrazioni, avvolgono in un bozzolo vischioso ogni più
piccolo tentativo di innovazione. Sono le lobby dell’informazione,
dell’editoria, del commercio, immersi nei loro enormi gangli di potere
che non sono disposti a cedere. Poco importa che così facendo
paralizzino la società: l’importante è che i loro grossi ventri molli
restino pingui e ben pasciuti. Poi arriva la rete, quella digitale.
Informazioni, beni e servizi iniziano a transitare per vie impossibili
da presidiare. Sono fatti di idee, sono comunicazione allo stato puro:
nessuna barriera fisica li può fermare. Dove il mondo precedente era
fatto di grandi pachidermi, di frontiere, di dazi, di proibizionismo, di
censura e di poteri centrali, quello nuovo è agile come un esercito di
acrobati, non ha confini se non quelli dell’immaginazione, è libero come
le ali della fantasia, è impossibile da costringere in un pensiero
unico ed è dominato da multiformi, cangianti concentrazioni di energie
individuali, che si concentrano a realizzare un obiettivo e poi si
disperdono facendo perdere ogni traccia di sé. Chiunque può costruire un
ponte tra se stesso e gli altri, in una dimensione parallela rispetto a
quella popolata da feroci sentinelle poste a guardia di privilegi
indebiti, e farvi transitare idee originali e di successo che viaggiano
alla velocità del pensiero, trasportando opportunità e trasformandole in
economie reali. Internet è un ascensore sociale di incredibile potenza.
Per questo va abbattuto.
Così è iniziata la lunga e triste storia degli attacchi alla rete.
L’Italia è all’avanguardia: è la Cina dell’ovest, con l’aggravante che è
molto più oscurantista e medioevale. Nonostante studi approfonditi
della Banca Mondiale, di Google, dell’Oecd, del Boston Consulting Group e
di Confindustria Digitale dimostrino inequivocabilmente che una buona
infrastruttura digitale consentirebbe di risparmiare non meno di 40
miliardi l’anno (con soli 10 miliardi di investimenti iniziali, secondo
calcoli di Alcatel-Lucent confermati da consorterie cinesi), che a una
crescita della penetrazione della banda larga tra il 13% e il 18%
corrisponderebbero incrementi di Pil compresi tra il 3,3% e il 4,3% (di
cui il 75% a vantaggio dell’industria tradizionale), e nonostante il
McKinsey Global Institute dimostri che internet crea più posti di lavoro
di quanti ne distrugge, il nostro Paese è tra gli ultimi per la qualità
delle sue infrastrutture digitali, per il numero di cittadini connessi
alla rete così come per la velocità di download (93°, dopo le Fiji) e di
upload (143°, dopo il classico Trinidad e Tobago). La politica, essendo
espressione delle lobby dell’editoria televisiva e temendo la
diffusione di contenuti multimediali concorrenti non meno della
diffusione della conoscenza e dell’informazione libera, ha non solo
disincentivato nel passato l’evoluzione digitale della nostra economia,
ma la ha proprio decisamente ostacolata grazie al non adeguamento delle
normative e alla continua minaccia, spesso ma non sempre disinnescata
grazie alla mobilitazione di blog e associazioni, di atti legislativi
ostili. (vedi: “A cosa serve internet“).
Chi si illudeva che un governo di centro-sinistra, apparentemente
“progressista”, avrebbe potuto invertire questa tendenza dando seguito
alle direttive sull’adeguamento delle infrastrutture digitali emanate
dall’Unione Europea (che fa testo solo quando impone austerity e tagli
alla spesa pubblica), è oggi costretto a scendere dal proverbiale pero e
constatare che contro la Rete poté di più il Partito Democratico che 20
anni di Forza Italia e Popolo delle Libertà messe insieme. Quello che
il partito del rottamatore di Arcore è riuscito a fare in pochi mesi di
legislatura contro le libertà digitali ha dell’incredibile. Vogliono gli
Stati Uniti d’Europa, sono disposti a cedere qualunque tipo di
sovranità pur di ottenerla, si stracciano le vesti quando un economista
parla di una riappropriazione del sistema monetario o dell’imposizione
di dazi verso i Brics, ma quando si tratta di internet sono più
protezionisti di Ficthe e di List messi insieme. La Commissione Bilancio
alla Camera ha approvato un emendamento di Edoardo Fanucci (Pd) alla
Legge di Stabilità, sostenuto dal presidente della Commissione Francesco
Boccia (Pd), che istituisce la cosiddetta Web Tax. Recita così: «i
soggetti passivi che intendano acquistare servizi online, sia come
commercio elettronico diretto che indiretto, anche attraverso centri
media ed operatori terzi, sono obbligati ad acquistarli da soggetti
titolari di una partita Iva italiana». Cosa significa? Che d’ora in poi
non potremo più acquistare merce o software o servizi di qualunque tipo
da siti che non abbiano aperto una partita Iva italiana. Quello che non
esiste da nessun’altra parte in Europa, da noi sta per diventare realtà.
Da Amazon a Google a qualunque altra impresa anche piccola, magari
operante dall’altra parte del globo: saremo tagliati fuori da tutto,
perché è evidente che il servizio che sarà disponibile agli altri
cittadini europei, fornito magari da una piccola società del Michigan, a
noi sarà precluso, essendo nei fatti impossibile dall’estero espletare
tutte le pratiche previste dalla burocrazia italiana per sobbarcarsi
l’onere di una posizione fiscale nel Paese più tartassato e oberato di
scartoffie amministrative del mondo civilizzato. Ed è ipotizzabile che
anche i giganti del web, che trovano nell’Italia un mercato del tutto
marginale, possano abbandonarlo a se stesso per concentrarsi su
territori meno oscurantisti e più redditizi. Vero è che oggi i colossi
digitali fatturano nei paesi fiscalmente più convenienti, come
l’Irlanda, ma nell’era dell’integrazione politica a tutti i costi, vuoi
vedere che l’unica soluzione che non si può trovare a livello
comunitario è quella di un riequilibrio delle politiche fiscali? Ci
crede così poco, Letta, all’Unione Europa alla quale sacrifica ogni
politica nazionale diversa da quella digitale?
Ma la scure della Santa Inquisizione democratica non si ferma. Nel
Consiglio dei Ministri di venerdì scorso, il proverbiale “venerdì 13”,
il governo delle ex larghe intese (“Tesoro, mi si sono ristrette le
intese”) ha varato un decreto che sferza un altro micidiale colpo sui
motori di ricerca e sulla stessa libertà di informazione. Sotto evidente
dettatura delle morenti lobby dell’editoria cartacea, viene
incredibilmente sancito che prima di “linkare, indicizzare, embeddare,
aggregare” un contenuto giornalistico è necessario chiedere il permesso
all’editore. Avete capito bene: la fine dei provider di ricerca che
indicizzano le ultime notizie per poi rimandarvi eventualmente alla
fonte (viene in mente Google News). Ora dovranno stringere accordi
preventivi con gli editori, che si possono immaginare economicamente
svantaggiosi. Ma se quel “linkare ed embeddare” evoca sinistri presagi
che aleggiano sui blog, i quali si ritroveranno a domandarsi se possono
ancora inserire collegamenti ipertestuali agli articoli dei giornali, o
citarne stralci, senza dover essere costretti a firmare improbabili
contratti con Rcs o con il Gruppo Editoriale l’Espresso,
quell’”aggregare” evoca scenari esilaranti nei quali potrebbero
diventare illegali in un colpo solo tutti i feed reader privi di
autorizzazione e trasformare i vostri pc in tante pericolose rotative
clandestine. Un ennesimo regalo all’editoria e un inesplicabile duro
colpo allo sviluppo della cultura della circolazione delle informazioni,
attuato per decreto e ancora una volta senza il coinvolgimento del
dibattito parlamentare.
E senza alcun dibattito parlamentare si è consumato una vero e
proprio sopruso, un atto autoritario, antidemocratico e probabilmente
anche incostituzionale, perpetrato dall’Autorità per le Garanzie nelle
Comunicazioni, che il 12 dicembre ha varato una delibera che non ha precedenti altrove nel mondo
e che consegna la libertà di pensiero al suo antagonista storico,
l’insieme dei gruppi di pressione che tutelano il copyright, eliminando
con un colpo di spugna l’attribuzione del potere giudiziario ai
magistrati e conferendolo agli avvocati delle lobby, i quali in presenza
(a loro insindacabile giudizio) di “un’opera, o parti di essa, di
carattere sonoro, audiovisivo, fotografico, videoludico, editoriale e
letterario, inclusi i programmi applicativi e i sistemi operativi per
elaboratore, tutelata dalla Legge sul diritto d’autore e diffusa su reti
di comunicazione elettronica”, potranno segnalarla all’Agcom che nel
giro di pochi giorni potrà ordinare agli internet provider di oscurarla o
rimuoverla. Per chi si illudeva che anche il nostro Paese, un giorno,
avrebbe visto la nascita di un principio sacrosanto come quello del Fair
Use, in vigore altrove, che consente ai cittadini di diffondere stralci
di opere protette dal diritto di autore al fine di realizzare un
dibattito o di stimolare una discussione attinente, la delibera Agcom
appena emanata rappresenta la fine di ogni speranza. Tutto, qualunque
contenuto presente in rete, secondo le definizioni di cui sopra, potrà
essere oggetto di rivendicazione da parte degli editori. Un video su
internet che contiene alcuni spezzoni di un telegiornale o di un
servizio giornalistico, una foto pubblicata su un blog, anche se
modificata in senso umoristico, magari elaborata a comporre un
fotomontaggio, uno stralcio di articolo tratto da un giornale, l’audio
del saggio di pianoforte di vostra figlia nel quale l’editore dello
spartito riconosce l’uso della diteggiatura da lui depositata, tutto
potrà risultare in una segnalazione effettuata all’Agcom che potrà
ordinare al vostro hosting provider, o magari a YouTube, di cancellare
il vostro blog in tutto o in parte, così come il vostro video. E poiché
il provider o il fornitore di servizi di condivisione che nel volgere di
pochissimi giorni non dovesse ottemperare, si troverebbe a pagare una
sanzione che può arrivare fino a 250mila euro, si può tranquillamente
puntare sul rosso e scommettere sul fatto che le segnalazioni inoltrate
dall’Agcom verranno immediatamente tradotte nella rimozione dei
contenuti controversi, e magari nell’oscuramento di tutto il sito.
Interi blog di informazione, pieni di citazioni, di clip multimediali e
di composizioni fotografiche, potrebbero scomparire dal 1 di aprile,
data di entrata in vigore della normativa. Scavalcando a volo d’uccello
l’unico potere che secondo la Costituzione può limitare la libertà di
espressione: la magistratura. E purtroppo non si tratterà di un pesce
d’aprile. Ed è notizia dell’ultima ora che, in un documento confidenziale
inviato al Governo italiano nientemeno che dal vicepresidente della
Commissione Europea Maros Sefcovic, Commissario alle relazioni
istituzionali, si chiede alle autorità italiane di chiarire in che modo
intendono garantire la protezione dei diritti fondamentali dei cittadini
nell’applicazione del regolamento Agcom. (vedi: “Il web ha un mese e mezzo di vita“).
Come se non bastasse, sempre nell’ottica di agevolare lo sviluppo
delle nuove tecnologie e la diffusione della cultura digitale, il
decreto del Consiglio dei Ministri di venerdì scorso ha escluso
l’editoria elettronica (i produttori di ebook) dalle incentivazioni per
l’editoria. E ha già annunciato che la settimana prossima varerà un
nuovo decreto che imporrà balzelli sugli smartphone, sui tablet e sui
pc, per un ammontare complessivo che nel 2014 assommerà a cento milioni
di euro. Anziché spingere l’Italia e gli italiani verso la modernità,
nel doveroso tentativo di mettersi perlomeno in scia con il progresso
tecnologico che sostiene i popoli degli altri paesi del mondo nella loro
domanda di competitività, il “progressista” Enrico Letta assesta con il
suo Governo i colpi più devastanti che la storia degli attacchi alla
Rete in Italia ricordi, caratterizzandosi come uno degli alfieri delle
lobby più cinico e spietato, e come uno dei nemici della conoscenza
distribuita, dell’innovazione e della mobilità sociale che le nuove
tecnologie consentono, più ostile e oscurantista. Quanto costerà tutto
questo alla nostra economia, in termini di ritardo nello sviluppo e
dunque in termini di ulteriore perdita di produttività, purtroppo, lo
scopriranno ancora una volta i nostri figli.CLAUDIO MESSORA, 17/12/2013"""""""""
martedì 17 dicembre 2013
venerdì 8 novembre 2013
ALCOM-AGL: SOLIDARIETA' AI GIORNALISTI DELLA GAZZETTA DELLO SPORT IN SCIOPERO. MA PERCHE' NON SI SONO UNITI QUELLI DEL CORRIERE DELLA SERA?
Da www.gazzetta.it
La Gazzetta sciopera per due giorni
I motivi della scelta dei giornalisti
Milano, 06 novembre 2013
La Rcs decide di svendere la sede storica di via Solferino, ennesima operazione discutibile. Lo scandalo Recoletos e le altre mosse finanziarie che stanno portando al disfacimento una importante azienda editoriale
- Lo stabile di via Solferino: sede di Corriere della Sera e Gazzetta dello Sport. Ansa
"""""""""Domani e venerdì la Gazzetta dello Sport non sarà in
edicola e il suo sito dalla mezzanotte di mercoledì non verrà
aggiornato. La redazione ha deciso di scioperare di fronte all'ennesimo
episodio di mala gestione da parte della proprietà e del management
dell'azienda. Ci voleva il ritorno della Fiat come azionista di
maggioranza del gruppo Rcs per assistere allo scempio della "svendita"
del palazzo storico di via Solferino e di quello di via San Marco a
Milano, deliberata mercoledì dal consiglio di amministrazione e
comunicata in tardissima ora sperando non facesse troppo rumore.
Un'operazione da 120 milioni di euro, a fronte di una
ristrutturazione recente costata 80 milioni e un affitto da versare agli
acquirenti che rende alla fine la plusvalenza quasi nulla. Soci e
manager continuano così nell'opera di disfacimento di un'importante
azienda editoriale dismettendo anche l'ultimo bene immobile in suo
possesso, garanzia quantomeno delle liquidazioni dei lavoratori. Con una
mano gli azionisti - dopo decenni di dividendi incassati - deliberano
l'aumento di capitale (reso necessario solo dai loro pasticci) mentre
con l'altra si rimettono in tasca qualcosa. Intanto abbattono senza
sosta i costi che non dovrebbero toccare, iniziando dai posti di lavoro
(370 persone in cassa integrazione, anticamera del licenziamento, nel
settore Periodici e robusti esuberi tra i Quotidiani) per arrivare alle
pagine di giornale. Ricette trite, perdenti e di brevissimo respiro.
Errori che partono da lontano ma hanno nomi e cognomi.
Dagli Anni 90, quando la stessa Fiat rifila a Rcs la Fabbri decotta
facendosela pagare ampiamente (risultato: zavorra di debiti e svariati
posti di lavoro in fumo). Per arrivare alla fallimentare operazione
spagnola per l'acquisto di Recoletos nel 2007, che definire torbida è
poco. Vittorio Colao, ultimo manager indipendente di questa azienda,
boccia l'acquisto. E allora cosa fanno gli azionisti? Via Colao e dentro
Antonello Perricone, "suggerito" da Luca di Montezemolo. Immediato
semaforo verde per la frittata spagnola, con un'azienda già in crisi
strapagata 1.100 milioni di euro. Dopo di che, al termine di un lustro
di vuoto pneumatico in termini di idee e investimenti, Perricone saluta
portandosi via una lautissima e clamorosamente immeritata buonuscita da
3,4 milioni di euro. Dove finisce? A fare l'amministratore delegato di
Italo, il treno di Montezemolo e Della Valle...
Subentra un nuovo management che, ovviamente, taglia con la
scure e mette insieme un piano triennale che annuncia investimenti
multimediali e obiettivi quantomeno ambiziosi. Un anno è già passato e
di investimenti non s'è vista nemmeno l'ombra. Si sono invece viste solo
mosse finanziarie, parecchio discutibili. Che tristezza. Pensavamo che
qui si facessero giornali, non operazioni di acrobazia economica o
giochetti per contare nelle stanze del potere. E vi raccomandiamo le
banche. Prontissime a finanziare Tronchetti Provera (amico azionista,
naturalmente) per riprendersi il controllo della Pirelli con soldi non
suoi, ma incapaci di dare fiato al primo gruppo editoriale italiano,
salvaguardando la sua indipendenza e garantendo il suo sviluppo.
Infine una riflessione anche per il sindaco Pisapia, che
non ha speso una parola sulla vicenda. Come se un privato comprasse la
Scala e il primo cittadino di Milano se ne stesse zitto e lontano.
Quando tra qualche anno in sala Albertini ci faranno feste in stile
Billionaire magari verrà invitato anche lui. Dovrebbe, insieme a tutti
gli altri, provare a pensare a quando i giornalisti, seppur pesantemente
sollecitati, non se ne andarono da questo edificio in tempo di Guerra. E
a quando, durante la Resistenza, tra le rotative si nascondevano le
armi per combattere fascisti e nazisti. Forse qualcuno riuscirà a capire
perché mettere la storia in mano a un fondo speculativo immobiliare
americano è una vergogna.
Il comitato di redazione della Gazzetta dello Sport"""""""""
giovedì 8 agosto 2013
PENSAVAMO CHE L'ULTIMA LEGGE SULLA SCHIAVITU' FOSSE STATA ELIMINATA FORMALMENTE, NEL MONDO, IN MAURITANIA NEL 1980. MA NON AVEVAMO FATTO I CONTI COL PRIMO CONTRATTO PER I CO.CO.PRO. IN “OUTBOUND” FIRMATO IL 1° AGOSTO DA CGIL-CISL-UIL.....
Il contratto collettivo per i collaboratori a progetto dei call
center è stato firmato da Assotelecomunicazioni-Asstel, titolare
del Ccnl, Assocontact l'associazione che rappresenta le aziende di
call center in outsourcing e i sindacati di categoria Slc CgiL,
Fistel Cisl e Uilcom Uil.
L'accordo riguarda oltre 30.000 addetti. E' stata presentata, dalla parte datoriale come “un'importante novità nel panorama delle relazioni industriali, stabilendo una piattaforma di regole, diritti e welfare per lavoratori non subordinati su cui il comparto potrà basare il suo modello di sviluppo”.
Gli “outbound” sono i COCOPRO che fanno le chiamate in uscita e sono noti perchè a suo tempo furono oggetto di una specifica normazione promossa dall'ex Ministro del Lavoro (nel Governo Prodi) Cesare Damiano.
Al collaboratore, con questo contratto, viene riconosciuta , in teoria, almeno la stessa retribuzione oraria del dipendente. Ma la parificazione viene spalmata da qui a 5 anni. Cioè, ad esempio, si passerà dal 60% di un pari livello delle telecomunicazioni nell'ottobre del 2013 al 100% nel gennaio 2018.
E' stato sancito che questi lavoratori sono destinati a rimanere a progetto (il contratto è stato fatto proprio per questo, per evitare la stabilizzazione) .
E i datori saranno incentivati a applicare questo contratto “precario” (e qui l'ex Ministro Fornero ha scavalcato a sinistra la CGIL) perchè i lavoratori cui sarà applicato questo nuovo contratto non avranno TFR, 13^ e ferie pagate!
In pratica viene portata a compimento l'idea sottesa alla legge Damiano,che destinava a progetto gli outbound. Ma anche il Governo Monti ha provveduto, tramite una circolare del 2012, ad ampliare l'ambito del rapporto a progetto dalle attività di vendita a tutti i servizi, ad esempio (e ciò è recepito da questo contratto) alle ricerche di mercato e al recupero crediti.
Già si prevede che le imprese che oggi applicano il contratto di lavoro subordinato del commercio per le ricerche di mercato e quello del bancario per il recupero crediti, tra poco passeranno a questo contratto più conveniente (cominciamo veramente a rimpiangere la cara Elsa, a questo punto!)
E per finire, una classica clausola capestro: i lavoratori hanno diritto ad essere inseriti in un bacino di prelazione per i nuovi contratti cocopro e (ma chi ci crede?) subordinati,ma dovranno firmare una conciliazione (cioè la rinuncia preventiva e irrevocabile a fare causa) sul pregresso.
Il settore è in crisi? Per nulla: i committenti sono Telecom, Vodafone, Società dell'Energia che vanno a gonfie vele. Il problema è che le stesse minacciano delocalizzazioni che né il governo né i sindacati hanno la forza (o piuttosto, fanno finta di non averla?) di scongiurare
Del resto non è sempre stato così per gli schiavi da generazioni? Potersi integrare implica mettere una pietra sopra e “perdonare” abusi, angherie e delitti subiti.
I discendenti degli schiavi oggi sono tra gli uomini più potenti della terra, hanno saputo riscattarsi, lottando a lungo.
Sapranno fare altrettanto questi lavoratori, per lo più giovani?Senz'altro, purchè non si facciano aiutare (a cadere) da CGIL-CISL-UIL!
L'accordo riguarda oltre 30.000 addetti. E' stata presentata, dalla parte datoriale come “un'importante novità nel panorama delle relazioni industriali, stabilendo una piattaforma di regole, diritti e welfare per lavoratori non subordinati su cui il comparto potrà basare il suo modello di sviluppo”.
Gli “outbound” sono i COCOPRO che fanno le chiamate in uscita e sono noti perchè a suo tempo furono oggetto di una specifica normazione promossa dall'ex Ministro del Lavoro (nel Governo Prodi) Cesare Damiano.
Al collaboratore, con questo contratto, viene riconosciuta , in teoria, almeno la stessa retribuzione oraria del dipendente. Ma la parificazione viene spalmata da qui a 5 anni. Cioè, ad esempio, si passerà dal 60% di un pari livello delle telecomunicazioni nell'ottobre del 2013 al 100% nel gennaio 2018.
E' stato sancito che questi lavoratori sono destinati a rimanere a progetto (il contratto è stato fatto proprio per questo, per evitare la stabilizzazione) .
E i datori saranno incentivati a applicare questo contratto “precario” (e qui l'ex Ministro Fornero ha scavalcato a sinistra la CGIL) perchè i lavoratori cui sarà applicato questo nuovo contratto non avranno TFR, 13^ e ferie pagate!
In pratica viene portata a compimento l'idea sottesa alla legge Damiano,che destinava a progetto gli outbound. Ma anche il Governo Monti ha provveduto, tramite una circolare del 2012, ad ampliare l'ambito del rapporto a progetto dalle attività di vendita a tutti i servizi, ad esempio (e ciò è recepito da questo contratto) alle ricerche di mercato e al recupero crediti.
Già si prevede che le imprese che oggi applicano il contratto di lavoro subordinato del commercio per le ricerche di mercato e quello del bancario per il recupero crediti, tra poco passeranno a questo contratto più conveniente (cominciamo veramente a rimpiangere la cara Elsa, a questo punto!)
E per finire, una classica clausola capestro: i lavoratori hanno diritto ad essere inseriti in un bacino di prelazione per i nuovi contratti cocopro e (ma chi ci crede?) subordinati,ma dovranno firmare una conciliazione (cioè la rinuncia preventiva e irrevocabile a fare causa) sul pregresso.
Il settore è in crisi? Per nulla: i committenti sono Telecom, Vodafone, Società dell'Energia che vanno a gonfie vele. Il problema è che le stesse minacciano delocalizzazioni che né il governo né i sindacati hanno la forza (o piuttosto, fanno finta di non averla?) di scongiurare
Del resto non è sempre stato così per gli schiavi da generazioni? Potersi integrare implica mettere una pietra sopra e “perdonare” abusi, angherie e delitti subiti.
I discendenti degli schiavi oggi sono tra gli uomini più potenti della terra, hanno saputo riscattarsi, lottando a lungo.
Sapranno fare altrettanto questi lavoratori, per lo più giovani?Senz'altro, purchè non si facciano aiutare (a cadere) da CGIL-CISL-UIL!
mercoledì 24 aprile 2013
POSTE ITALIANE: EMERGENZA RECAPITO
(di Yasmina)
In Italia non tutti gli sportelli operano a servizio del pubblico, anzi alcuni di essi restano chiusi, creando non pochi disagi agli utenti, costretti ad estenuanti file per il pagamento di una semplice bolletta. La mancanza di sportelli a causa della carenza di personale, risulta essere solo una delle anomalie , che - sommata a tante altre - sta agitando i cittadini costretti ad adeguarsi agli sportelli naturalmente con spirito di rassegnazione e sopportazione.
Rimpiangiamo tutti gli anni in cui le Poste erano un Ente Pubblico e si occupava del suo compito: la consegna della posta e non , come accade ora in prevalenza, di servizi finanziari. Il problema della riorganizzazione degli uffici postali sta mettendo in crisi le famiglie di lavoratori e pensionati a causa delle attese interminabili per poter effettuare il pagamento di un conto corrente, per poter ritirare la pensione e per qualsiasi altra operazione postale, poiché tutti i servizi vengono erogati da pochissimi sportelli.
La difficoltà, nell’usufruire dei servizi postali ,diventa insostenibile ed è palese il fatto che il personale addetto agli sportelli, pur prodigandosi, è assolutamente carente rispetto ai compiti che è chiamato a svolgere.Siamo di fronte a un depauperamento dei servizi minimi essenziali , grave, perché incide su utenti per lo più anziani , malati, handicappati.
E' uno stillicidio di segnalazioni. L'ultima, quella di oggi: Foggia sepolta dalle raccomandate (clicca sul seguente link:http://foggia.ilquotidianoitaliano.it/dalla-provincia/2013/04/news/foggia-sepolta-da-raccomandate-poste-italiane-apra-nuovi-uffici-23067.html/ ).
Speriamo che il nuovo Governo che si sta formando assegni la giusta attenzione a questi fattori di disagio, che riguardano tutto il Paese, e che abbia il coraggio di bloccare immediatamente processi di ristrutturazione e riorganizzazione scellerati evidentemente orientati da interessi privatistici molto distanti da quello pubblico di garantire il buon funzionamento al servizio essenziale del recapito della posta.
YASMINA
In base alle norme vigenti cui deve attenersi
Poste Italiane SpA – ma ciò accade in tutto il mondo – il postino , per
consegnare una raccomandata, deve suonare al citofono. Se il destinatario non
risponde, deve lasciare un avviso. Ma prima di lasciarlo, deve assicurarsi che
la persona non ci sia effettivamente. E se accade che nello stesso condominio
non siano presenti in quel momento diverse persone? Oppure che qualcuno non sia
in grado di rispondere perchè malato o handicappato? Ebbene, il postino dovrebbe
caso per caso salire e consegnare la raccomandata alla porta. Ma la maggior
parte di essi non lo fa. Si riempiono gli atri dei palazzi di avvisi che ben
presto si trasformano in carta straccia e finiscono nella spazzatura. E questo è
un grave disservizio che procura danni economici e morali.
La colpa ovviamente non è dei postini ma di chi
li dirige e dell'Azienda.La quale ha sempre più problemi. E non solo nella fase
della consegna.
Dagli organi di stampa emergono i continui disagi causati
da ricorrenti problemi gestionali dell’azienda Poste italiane S.P.A. In Italia non tutti gli sportelli operano a servizio del pubblico, anzi alcuni di essi restano chiusi, creando non pochi disagi agli utenti, costretti ad estenuanti file per il pagamento di una semplice bolletta. La mancanza di sportelli a causa della carenza di personale, risulta essere solo una delle anomalie , che - sommata a tante altre - sta agitando i cittadini costretti ad adeguarsi agli sportelli naturalmente con spirito di rassegnazione e sopportazione.
Rimpiangiamo tutti gli anni in cui le Poste erano un Ente Pubblico e si occupava del suo compito: la consegna della posta e non , come accade ora in prevalenza, di servizi finanziari. Il problema della riorganizzazione degli uffici postali sta mettendo in crisi le famiglie di lavoratori e pensionati a causa delle attese interminabili per poter effettuare il pagamento di un conto corrente, per poter ritirare la pensione e per qualsiasi altra operazione postale, poiché tutti i servizi vengono erogati da pochissimi sportelli.
La difficoltà, nell’usufruire dei servizi postali ,diventa insostenibile ed è palese il fatto che il personale addetto agli sportelli, pur prodigandosi, è assolutamente carente rispetto ai compiti che è chiamato a svolgere.Siamo di fronte a un depauperamento dei servizi minimi essenziali , grave, perché incide su utenti per lo più anziani , malati, handicappati.
E' uno stillicidio di segnalazioni. L'ultima, quella di oggi: Foggia sepolta dalle raccomandate (clicca sul seguente link:http://foggia.ilquotidianoitaliano.it/dalla-provincia/2013/04/news/foggia-sepolta-da-raccomandate-poste-italiane-apra-nuovi-uffici-23067.html/ ).
Speriamo che il nuovo Governo che si sta formando assegni la giusta attenzione a questi fattori di disagio, che riguardano tutto il Paese, e che abbia il coraggio di bloccare immediatamente processi di ristrutturazione e riorganizzazione scellerati evidentemente orientati da interessi privatistici molto distanti da quello pubblico di garantire il buon funzionamento al servizio essenziale del recapito della posta.
YASMINA
domenica 24 febbraio 2013
SOLIDARIETA' DELL'AGL AI LAVORATORI DELLA RAI E DI RCS MEDIAGROUP (TRA I QUALI I GIORNALISTI DEL CORRIERE DELLA SERA)
Rai: nonostante la cura dimagrante
annunciata dal Direttore Generale, da una parte vengono nominati 12
vicedirettori (con relative spropositate retribuzioni) e dall'altra
450 dipendenti saranno definitivamente fuori dall'Azienda. Poiché
150 di essi stanno resistendo, non possiamo che essere solidali con
loro e dirgli di tenere duro.
Un'altra importante entità della
cultura del nostro Paese, la RCS, sta attraversando una fase
drammatica, soprattutto per i propri lavoratori.640 esuberi di cui
200 giornalisti, la vendita o chiusura di 10 testate periodiche, la
vendita della sede del Corriere della Sera di Via Solferino, risparmi
sul costo del lavoro che significheranno riduzioni della
retribuzione. Tutto, sembra, non per una crisi di mercato ma per
errori del management. Anche qui la nostra piena solidarietà ai
lavoratori. Continueremo a seguire la vicenda.
CULTURA: PUBBLICO O PRIVATO?
In queste ore gli italiani stanno
scegliendo chi li governerà nei prossimi cinque anni e per fortuna
l'attenzione è caduta anche sul modo di sostenere la cultura, un
bene fondamentale per il nostro Paese. Tanti lavoratori (attuali e
potenziali) sono interessati a questo argomento e quindi è bene che
anche da parte nostra si esprima un'opinione. Già in passato (e non
ci ripeteremo) abbiamo confutato la tesi per la quale, per alcuni,
“con la cultura non si mangia”. Sarebbe troppo facile liquidarla
dicendo che è “una boiata pazzesca”. Diciamo che è interessante
capire da dove essa tragga origine: indubbiamente da una visione
rozza e semplicistica dell'andamento e dello sviluppo della nostra
società. Purtroppo però la tesi contraria (mangiare con la cultura)
pecca di un limite altrettanto grave: identificare la cultura come
mantenibile solo a condizione che lo Stato assicuri uno stipendio
fisso agli operatori della cultura. Si è fatta strada allora una
“terza via” quella di promuovere l'intervento dei capitali
privati nella cultura, con un mix di soluzioni a volte rimaste solo a
livello di intenzioni a volte con risultati contraddittori e comunque
a loro volta oggetto di polemica. La colpa ricade un po' anche sul
mondo della cultura italiana che non ha mai perso il vizio di
“schierarsi”. Chi ha un po' più di anni sulle spalle e queste
vicende le ha seguite fin dagli anni '60 non può però non cogliere
un tratto caratterizzante dell'evoluzione di questa diatriba fino ai
nostri tempi. Ossia che una volta si combatteva in nome di una
ideologia, poi, più avanti, la motivazione era individuabile
nell'aver conservato o meno un “ideale”, ora (che sono spariti
sia le ideologie che gli ideali) l'essenza di tutto è nei soldi. Si
parte dalla propria storia per schierarsi in un limitato ventaglio di
partiti, da lì si cercano poltrone, occasioni di lavoro,
finanziamenti o, quanto meno, uno stipendio fisso e, sempre per i
soldi, si è disposti a fare, in campo culturale, il salto della
quaglia, inventandosi crisi di coscienza e susseguenti rivoluzioni di
pensiero. Portandosi dietro sempre “il nuovo” come bandiera
imprescindibile (ma un po' inflazionata). In sintesi: un processo di
scilipotizzazione della cultura italiana. Grazie a dio, in base alla
nostra Costituzione, la Cultura è un ambito libero per definizione
e, come noto, l'essere umano, essendo dotato di libero arbitrio, può
fare e andare dove meglio crede. I lavoratori (attuali ma soprattutto
potenziali) del cosiddetto settore culturale hanno ormai imparato
(come quelli dell'istruzione o dell'università) a non farsi
eccessive illusioni, pur avendo, magari, in tasca uno o più titoli
di studio di elevato livello anche se nel contempo col desiderio di
incrementare anche la propria esperienza lavorativa e di mangiare,
farsi una famiglia o migliorare la vita di quella che già si ha. Noi
non abbiamo pregiudiziali ideologiche nei confronti del ritorno (in
realtà più o meno ci sono sempre stati) dei Mecenati (i privati)
nella cultura italiana oppure nei confronti di meccanismi di
incentivazione fiscale che tocchino questo mondo oppure nel
rafforzamento dell'intervento di organi pubblici nei tipici casi nei
quali l'intervento diretto dei privati sarebbe o inopportuno o
improbabile per scarsa convenienza economica. Diciamo solo che non si
può ridurre la lotta sindacale nella mera difesa di posti e
retribuzioni fisse o di istituzioni decotte perché, anche in caso di
vittoria la stessa sarebbe soggetta al futuro ricatto economico dei
vincoli alle risorse di bilancio e a quello politico del dover
seguire gli input politici della classe dirigente al governo in quel
momento e che magari ti ha fatto il “favore” di “salvarti” a
spese del contribuente. Non sarebbe più una cultura veramente
libera, quindi. D'altro canto non crediamo sia necessario, per
l'ennesima volta, richiamare quali siano gli enormi pericoli per la
cultura derivanti da un eccessivo, incontrollato e selvaggio ingresso
dei privati . Non parliamo poi della nefasta esperienza della
lottizzazione politico-partitica di tante istituzioni culturali. E
ovviamente non si può chiedere a un sindacato che abbia a cuore gli
interessi dei lavoratori e dei cittadini meno abbienti di non
indicare questi pericoli, di non intervenire per ostacolare certi
processi e operazioni speculative. Anche i lavoratori della cultura,
se si ritengono veramente portatori di istanze decisive per una
società migliore, devono cominciare, su queste questioni (che
riguardano il prosieguo o i presupposti di una loro eventuale
attività lavorativa) , a pensare e scegliere più con la loro testa
che con quella dei partiti, dei sindacati, degli enti e istituzioni
nei quali fino ad oggi hanno creduto e a cui in parte hanno affidato
il loro destino. E dire se per loro è più importante considerare
come traguardo il posto e lo stipendio fisso oppure iniziare a
rischiare con tutti quei cittadini che, da altri punti di partenza,
sono rimasti anch'essi esclusi da una prospettiva di sicurezza. Come
possono pensare i lavoratori della cultura di affermare che la
cultura è libertà vera delle menti e condivisione di assetti più
avanzati di convivenza civile se continuano ad affidare e a
incanalare le proprie speranze in organismi che li hanno sempre mal
sopportati e trascurati e che nella migliore delle ipotesi cercano di
tener buoni con uno stipendio fisso (temporaneo) o con finanziamenti
clientelari alle loro iniziative? E non instaurando invece un dialogo
vero con tutti i cittadini, anche quelli politicamente e socialmente
più distanti da loro?Ecco la soluzione quindi: non cadete nel
ricatto occupazionale, stipendiale e dei finanziamenti, impegnatevi a
interagire con tutti i cittadini (soprattutto con coloro oggi più
distanti da voi) scavalcando i vostri finti sostenitori e sostenendo
le idee di quell'intellettualità che da tempo individua modelli
diversi e alternativi di sviluppo, culturale e materiale.
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